giovedì 31 luglio 2014

Fine dell'esperimento

Un capitolo denso della mia vita si chiude.
Non scriverò più qui.
E' stato breve e interessante esprimermi attraverso un blog.
Grazie a chi mi ha letto con attenzione.

venerdì 2 maggio 2014

Da "IL SENTIERO del risveglio interiore" di Eva Pierrakos

"La vostra paura delle emozioni negative è ingiustificata. Esse, in realtà, non sono così terribili o insopportabili, ma le vostre convinzioni e attitudini possono renderle tali. Coloro che seguono il sentiero, verificano continuamente che sentire fino in fondo anche il più grande dei dolori è un'esperienza vivificante, che libera l'energia bloccata e la creatività paralizzata. (...)
La paura delle vostre emozioni fa sì che voi le reprimiate, allontanandovi in tal modo dalla vita. Il vostro centro spirituale non può evolversi, manifestarsi ed integrarsi con il vostro io, finché non imparate ad abbracciare pienamente tutti i vostri sentimenti (...) e non imparate ad assumervene al responsabilità. Se rendete gli altri responsabili delle vostre emozioni, siete in trappola perché la vostra scelta si riduce a negarle o ad agirle distruttivamente contro di loro. Nessuna di queste due alternative è desiderabile o porta ad una qualche soluzione".

"Se mettete metà dell'impegno che in genere dedicate a scoprire i difetti degli altri, nello scoprire i vostri, potete immediatamente riconoscere come la legge di causa ed effetto governa la vostra vita. Solo questa scoperta può rendervi liberi, può convincervi che non esiste ingiustizia, può mostrarvi che non esistono un Dio, un fato o un mondo ingiusto, in cui vi tocca soffrire le conseguenze delle manchevolezze altrui, ma che sono la vostra ignoranza, la vostra paura, il vostro egocentrismo a causare, direttamente o indirettamente, ciò che sembra capitarvi senza alcun vostro intervento. Scoprire questo anello mancante e nascosto vi permette di rendervi conto che non siete vittime delle circostanze o delle imperfezioni degli altri, ma i creatori della vostra vita. Le emozioni sono forze creative estremamente potenti, in quanto il vostro inconscio influenza l'inconscio degli altri. Questa verità è della massima rilevanza per quanto riguarda la scoperta di come richiamate verso di voi eventi buoni o cattivi, favorevoli o sfavorevoli".

lunedì 7 aprile 2014

Cosa significa amare?

Potrei qui citare una lunga serie di letture. I grandi saggi della storia e dell'attualità hanno molto da dire sull'argomento, quando ciò che dicono proviene da saggezza maturata nel vivere.
Certo mi farebbe bene aggrapparmi ai piedi dei saggi un po' più spesso, eppure quante volte la mia natura mi ha portata a voler verificare con mano, a voler entrare proprio in quella porta recante la scritta "Warning - divieto di accesso ai non addetti ai lavori"? Maledetta curiosità e sete di sperimentazione, che a volte fa arenare in risacche senza sbocco.
Eppure
anche da queste esperienze apparentemente fallimentari può nascere un nuovo orientamento verso il proprio Bene. Ma per quanto ne so non mi è mai bastato pensarci su per crescere oltre.
Credo ci sia bisogno di una comprensione profonda, comprendente il razionale, ma ben più radicata. Un cambio di percezione e autopercezione.
Ci vuole un grande slancio coraggioso che nasce da chissà dove, giù, dove giace molto di noi che ancora non conosciamo.
Il dolore che lasciano certe esperienze è l'estrema misura di Qualcuno per farci del bene.
Certe volte sembriamo dover proprio non poterne più per aprire gli occhi.
Io ho grande fiducia in quel Qualcuno e quindi anche nelle regole del gioco.
Ma d'ora in poi vorrei comprendere con meno dolore, vorrei far tesoro di quello che ho vissuto.
E avere più rispetto di ciò che di delicato, fragile e tenerissimo chiede di essere coltivato dentro di me.
Con affetto a tutti coloro che cercano di amare.

giovedì 6 febbraio 2014

La gioia di vivere - sempre, comunque, ostinatamente gioia

Eccomi di ritorno dopo qualche mese di silenzio.
La gioia di di vivere a volte non si esprime in sonore risate o soddisfazioni grandiose.
Succede che si mostri attraverso il suo volto quieto e testardamente sereno.
Credere nell'Amore, credere negli altri, credere in se stessi. Anche in questo prende forma questo sentimento naturale.
L'ingenuità ancora non ha superato le prove della vita, la gioia di vivere sì.
Si decide di rimanere ingenui. Di non nascondersi più. O almeno si tenta di farlo.

Mi sento rim-bambinita.

Buon viaggio a tutte e a tutti!

sabato 26 ottobre 2013

Al limitare del cambiamento

Al limitare di un cambiamento, come osservando un'immensa foresta che si estende ai miei piedi, da cui provengono richiami di uccelli bizzarri dalle piume sgargianti e ruggiti di maestose tigri con grandi occhi ipnotici.
Al limitare del cambiamento, oscillando su una fune immaginaria che separa due campi di gioco, una fune rossa che divide i bianchi dai neri, il di qua dal di là.
Al limitare del cambiamento: un passo e sarò di là.
Salgo il gradino. Oscillando, sbandando, colpendo la testa su spigoli, urtando lo stomaco contro ostacoli e spuntoni che emergono all'improvviso nello stretto passaggio che percorro.
Salgo il gradino, a destra si apre una visuale inedita su paesaggi che non conosco, ma la cui bellezza mi è familiare.
Mi giro per guardare chi ero: immobile Anna mi osserva dal pianerottolo in fondo alle scale. Ha gli occhi vitrei, il corpo inerte, sembro io, ma non lo sono più.
Perché io sono qui.
Che fare ora? Quella che ero non esiste più, quella che sono vuole ancora essere conosciuta.
Le gambe incrociate, mi guardo in grembo e vedo un cucciolo di uomo - o animale non saprei - che chiede amore infinito: qualcosa che non ho imparato a esprimere, ma che so riconoscere.
Non ho saputo finora esprimerlo, ma ora forse posso provare.
Ho paura che aprendo il mio cuore a questo cucciolo sentirò anche dolore affiorare.
Quel simulacro, quella statua in fondo alle scale, porta i segni di molta sofferenza e la sua memoria rimane dentro di me.
Però il cucciolo è vivo, il cucciolo ha bisogno di cure, se non viene amato può addirittura morire.
Il cucciolo non ammette esitazioni e se non ci sono lo sente, non gli bastano vane promesse.
Il cucciolo mi vuole in totale presenza, in totale dedizione e concentrazione.
Come se amarlo fosse davvero il compimento di un'opera che potrò finalmente definire "mia".
La mia opera, la mia vita.

...to be continued...


venerdì 11 ottobre 2013

Assecondare o domare la propria natura?

Ci sono aspetti della mia personalità che molti non apprezzano, altri invece incontrano il favore degli altri.
Ma non sono sicura che tutti quelli della prima categoria siano negativi e positivi i secondi.
Vi siete mai chiesti se questo criterio, chiamiamola "risposta sociale", debba essere così decisivo?
Ci sono molte "buone maniere" diffuse più per paura che per convinzione, per esempio non sta bene rifiutare un regalo, bisogna evitare di scaldarsi quando si discute, sorridere se qualcuno ci sorride, così come ci sono alcuni stereotipi su cosa renda accettabile o meno una personalità.
Ma è come se una parte di noi accettando questa mediocrità lentamente morisse. Perdiamo quella bussola interna che ci indica la nostra verità.
Oggi per esempio ho assistito a una piccola scena in un negozio. C'era questa ragazza a cui la madre voleva comprare un paio di scarpe. La ragazza era di una gentilezza talmente esagerata da farmi pensare che fosse molto a disagio in quella situazione e avesse accettato per accontentare la madre.
Ho conosciuto anche adolescenti esasperatamente conflittuali e pronte a vomitare addosso al primo malcapitato tutta la loro collera e frustrazione.
Ma: e se fosse possibile consolidare in se l'idea che ciò che sentiamo e pensiamo abbia la dignità di essere espresso? Se la ragazza collerica e quella gentilissima potessero dire: grazie, capisco tu mi voglia fare un regalo, ma vedo che qui non c'è niente per me e preferirei fare altro? Dico così a titolo di esempio.
Sembrano piccole cose, ma spesso accade che queste piccole mancanze di autenticità si rafforzino come modelli di comportamento. La conseguenza più devastante è quella di non saper più riconoscere ciò che noi in prima persona realmente desideriamo anche nelle scelte più decisive della nostra vita.
Forse poi non a tutti farà piacere sentire la nostra verità, ma almeno non avremo mancato di essere leali verso noi stessi e di nutrire quel nostro centro senza il quale gli eventi perdono di significato e cominciano ad accumularsi alla rinfusa, un po' come i panni da lavare.
Buonanotte

mercoledì 9 ottobre 2013

Paura di non ritrovare quello che si pensava di essere

Qualcuno lo chiama "spirito", altri "anima". In questo modo la maggior parte delle persone si riferiscono a qualcosa che trascende l'esperienza ordinaria, cioè la percezione dei sensi. 
E quindi quasi tutti noi pensiamo si tratti di aspetti astratti dell'esistenza, di cui forse sapremo qualcosa dopo morti. 
Mi viene in mente un aneddoto riferitomi da un'amica insegnante di religione. Un bambino le chiede: "Maestra, ma se quando moriamo l'anima va in paradiso e il corpo sotto terra, io dove vado?". 
E probabilmente la nostra esperienza personale non ci darebbe gli strumenti per rispondere a quel bambino. 
Eppure tutte le grandi Tradizioni, i maestri, gli scritti sacri, le annotazioni lasciateci dai ricercatori dell'esistenza, ci dicono che questo "spirito" o "anima" per altri, è l'unica vera certezza, anzi il "baricentro della nostra personalità" (così lo definisce Marco Ferrini). Non è un'invenzione della logica per far quadrare i conti, un'approssimazione metaforica, una sovrastruttura costruita per dominare le coscienze. Tutt'altro, è la fonte della nostra reale originalità, coscienza, libertà, capacità di donare.

E' più che reale, è la vita stessa, ma pochissimi vi indirizzano la propria attenzione!

Come dar da bere a un fiore innaffiandone le foglie (non è una mia metafora, la prendo in prestito). 

Il punto secondo me - non l'unico in realtà - è che fa soffrire rendersi conto che si stanno annaffiando le foglie e cominciare a chiedersi se non sia forse quello il motivo del nostro dolore, a volte sottile, a volte cocente, sconvolgente. Fa soffrire percepire la nostra distanza da noi stessi. 
E fa paura, perché obbligherebbe di per se a mettersi in viaggio. Ma non sappiamo da che parte cominciare, abbiamo - di nuovo - paura di perderci durante la traversata, abbiamo paura di essere giudicati se saremo "troppo" noi stessi, abbiamo paura di dover rinunciare a sicurezze (giudizi, credenze su noi stessi e gli altri, fonti di piacere che potrebbero non dissetarci più), abbiamo paura di smarrirci e non saper più ritrovare le coordinate nella vita quotidiana. 

Ok, anch'io ho tanta paura. 

Chi ha voglia di continuare comunque in questo viaggio?